Sindrome della vecchia strega: cos’è e come riconoscerla

Il mondo delle streghe, e più in generale dell’occulto, arrivano spesso – anche attraverso libri, leggende, credenze e racconti orali – nella nostra quotidianità. Sia che si parli di paesi orientali che occidentali, a prescindere da religioni e popolazioni, in qualche modo trovano delle connessioni che travalicano campi di indagine, spazio e tempo e si insediano nel luogo comune.

Ecco allora che questa sindrome, rientra tra le  “paralisi del sonno” e  la si fa risalire a quel tipo di immaginario legato a inquietanti, misteriose e terribili visioni che, sotto forma di incubo o di finzione nella realtà, ci appaiono nel sonno rendendoci incapaci di muoversi.

Si tratta, meglio, di uno stato semi-cosciente di vigilanza durante il quale i movimenti e i riflessi vengono impediti dalla paura e dalla scena imprevista, ha una durata variabile, colpisce principalmente soggetti facilmente impressionabili, persone che hanno appena subito un trauma (anche legato ad un’emozione molto forte) e più facilmente persone sotto i 25 anni.

La paura… fa 90 (e sicuramente tiene svegli)

La sindrome della vecchia strega, insomma, si può manifestare dopo aver visto un film dell’orrore che ci ha colpiti in maniera violenta, oppure dopo aver assistito ad un incidente stradale dal forte impatto emotivo.
Può capitare a chi viaggia molto per lavoro e subisce jet-lag continui così come alle persone che vivono situazioni e momenti di vita particolarmente dolorosi e stancanti.

Se stacchiamo dal discorso gli aspetti legati alle credenze, alle visioni pure e impure e ai significati reconditi di certe visioni, possiamo parlare di un fenomeno da tenere sotto controllo soprattutto qualora faccia la sua “apparizione” in maniera più prolungata e costante.

Non è importante allora dilungarsi sulle differenti visioni che ognuno esperisce – ci sono credenze molto diverse anche in base alle leggende dei singoli paesi e culture – quanto la sensazione di terrore, panico e immobilità che, chi vive questa sindrome, prova nel momento della paralisi.

Si tratta di un’esperienza in grado di rovinare completamente la tranquillità di una notte serena, con strascichi psicologici e ricordi che possono protrarsi anche nei giorni seguenti.

Lo spavento legato alla sensazione di non riuscire a muoversi, dopo tutto, è abbastanza forte.

Paralisi del sonno: rimedi e consigli utili

Durante un episodio di paralisi ipnagogica, ma anche nella fase preparatoria al riposo, è cruciale cercare di gestire l’ansia che ne consegue praticando esercizi e tecniche di rilassamento che aiutino i muscoli a sciogliersi e tornare attivi in pochi minuti.

Le pratiche di rilassamento possono essere svolte individualmente, al presentarsi di un attacco di intensità variabile e possono diventare normale prassi quotidiana anche laddove il problema delle paralisi non persista più.
Nei casi più forti di paralisi del sonno è utile concentrarsi sulla respirazione profonda, prestare attenzione ai movimenti del corpo, specialmente degli arti, concentrarsi sul movimento degli occhi e svolgere una breve meditazione rilassante non appena si ristabiliscano le normali condizioni corporee.

Non sono certo le vecchie streghe il problema, ma la difficoltà, in taluni momenti della vita, a trovare dentro di sé il giusto equilibrio per vivere serenamente e in armonia con corpo e mente.

“Il sonno serve”: parola di Intelligenza Artificiale 

Chi l’avrebbe mai detto? Al contrario di noi esseri umani, per i quali, fisiologicamente, il sonno è necessario e fondamentale, avremmo potuto pensare che le intelligenze artificiali non avessero mai bisogno di fare una siesta, un riposino. E invece… 

Le basi di uno studio in pubblicazione su PLoS Computational Biology hanno dimostrato come anche le reti neurali artificiali possano beneficiare di un momento di pausa, specialmente in un momento delicato e complesso delle loro attività legato alla sedimentazione e memorizzazione delle  informazioni trascritte fra una sequenza di apprendimento e l’altra. 

Ma vediamo meglio, insieme, come funziona questo procedimento. 

Intelligenza artificiale: a cosa serve il… “sonno?”

Per chi stesse leggendo questo articolo senza conoscere approfonditamente la materia trattata, facciamo un semplice e basilare riassunto per comprendere quello che sappiamo, ad oggi, sulle IA. 

Esse, del tutto in grado di riprodurre automaticamente una sequenza di informazioni e azioni, una volta memorizzata, con relativa facilità, sembrano però ancora deboli sull’immagazzinare una seconda sequenza di dati senza sovrascriverli sui primi e, di conseguenza, perderli. 

In poche parole, se insegniamo e istruiamo un AI al comando A, essa potrà impararlo e riprodurlo centinaia di volte in maniera perfetta e identica, ma quando andiamo ad immettere i dati per la sequenza B, essa non sa creare collegamenti rapidi, e memorie, ricordi, in modo da lavorare contemporaneamente su B senza perdere le nozioni legate al comando A. 

Quello che, dunque, è il valore aggiunto del cervello umano, ovvero la capacità cosiddetta “continua” di creare memorie e ricordi – anche e soprattutto nella fase del sonno – le IA non ce l’hanno, ed ecco che veniamo alla ragione di questo articolo. 

Il riposo fa bene anche alle IA: memoria e sonno

Gli studi e le ricerche compiuti sul sonno simulato delle IA, che hanno cercato di stimolare, in maniera caotica, le reti neurali assicurandosi che proprio nel momento di inattività venisse riprodotta – come accade a noi uomini nella fase REM mentre dormiamo – una serie di processi e attivazioni uguali a quelli posti in essere nel tempo dell’apprendimento, hanno anche dato qualche importante informazione aggiuntiva su quale sia il tempo migliore per riposare: non dopo due differenti sequenze, cioè prima il compito A, poi il B e allora il riposo, ma proprio fra le due sessioni di apprendimento. 

In poche parole, il “riposino” dell’IA dopo aver immagazzinato un set di dati e informazioni, sembrerebbe potesse aiutare la macchina a non dimenticarle e rimuoverle, una volta immessi anche i dati di una seconda e nuova sequenza. 

Si tratta, questa, di una ricerca e di un possibile sviluppo assolutamente importante e clamoroso nel campo dell’IA: se questi test venissero infatti confermati anche su sistemi di azioni più grandi e complessi, come quelli delle reti neurali di grandi aziende, potrebbe essere utile a perfezionare i risultati sull’addestramento delle IA e sulla capacità di apprendimento di informazioni e sequenze. 

Si tratterebbe, in altre parole, di una scoperta molto rilevante per gli studi futuri sulla robotica e numerosi altri campi di indagine. 

Night Eating Syndrome (NES): cos’è e come curarla

Uno spuntino a tarda notte, perché si è fatto le ore piccole, o svegliarsi in preda ad un crampo allo stomaco per la fame non è un problema, se capita saltuariamente e per una ragione ben precisa.
Quello di cui parleremo oggi, in questo articolo, è invece ben diverso: si tratta infatti di una sindrome ben identificata, un disturbo dell’alimentazione a cui è associato il nome di Night Eating Syndrome (NES) e riguarda tutti coloro che tendono ad abbuffarsi nelle ore notturne, perdendo evidentemente anche il sonno.

NES: come riconoscerla?

Se vi capita con frequenza di:

  • Svegliarvi varie volte durante la notte – anche più di tre in maniera consecutiva – e avere la sensazione di non riuscire a riprendere sonno senza prima aver mangiato;
  • Saltare la prima colazione con un senso di disgusto all’idea di ingerire cibo di prima mattina;
  • Aver consolidato, ormai da tempo, una tabella alimentare poco regolare, sia negli orari che nelle quantità del cibo

allora forse varrebbe la pena prendere in considerazione l’idea di soffrire di un disordine dell’alimentazione.
Questo disturbo si potrebbe chiamare Night Eating Syndrome e potrebbe influire su stress, ansia, umore e ovviamente sulla qualità del riposo.
Potrebbe inoltre incidere anche sul peso corporeo: è stato infatti notato come la NES sia più comune nel caso di persone che soffrono di obesità.
Più si mangia, più si perde il controllo. Più si perde il controllo negli orari notturni, più il ritmo circadiano si sballa completamente, compromettendo non soltanto la salute fisica ma anche il benessere e la tranquillità emotiva e mentale.
È importante tuttavia ribadire che la fame provata da chi soffre di questo disturbo dell’alimentazione non è una fame reale, quanto un’abitudine, un evento compulsivo che il cervello riproduce in maniera quasi automatica, indotto da una schema di pensieri poco sano, sul quale primariamente bisogna intervenire.

NES: si può guarirne?

Della Night Eating Syndrome chiaramente si può guarire e il primo passo per farlo e stare meglio è ammettere di avere un disordine dell’alimentazione.
Senza ricorrere a farmaci o psicofarmaci, il consiglio più appropriato è quello di rivolgersi ad un terapeuta professionista, in grado coi suoi strumenti di farvi affrontare il percorso più indicato e stimolante per la vostra guarigione.
Importante, è darsi delle piccole e semplici regole per la tabella nutrizionale.

Bisogna infatti cercare di:

  • Stabilire degli orari precisi per mangiare e non derogare
  • Bere molta acqua fra i pasti
  • Non consumare alcolici o caffeina la sera;
  • Non cucinare cibi troppo elaborati, soprattutto nel pasto serale
  • Non saltare mai la colazione
  • Evitare i digiuni prolungati
  • Dedicarsi ad una mezz’ora di esercizi di distensione e stretching prima di andare a letto
  • Praticare attività fisica in maniera regolare
  • Evitare la nicotina e altre sostante che possano indurre alla dipendenza
  • Bere una tisana rilassante prima di addormentarsi
  • Sperimentare tecniche di rilassamento qualora, i primi tempi, gli attacchi di “fame” notturna si ripresentino.

Qual è il miglior momento della giornata per allenarsi? 

Amanti e appassionati di sport e attività fisica, ecco un articolo dedicato a voi.

Qui parleremo infatti di qual è il miglior momento della giornata da dedicare alle sessioni di esercizio, anche nell’ottica di poter beneficiare di un sonno di qualità.

La salute psico-fisica, infatti, giova enormemente della scorta di energie e di risorse che lo sport dona all’organismo: ma non tutti i momenti della giornata sono ottimali per sforzare i muscoli.
Vediamo insieme perché.

Sport e ritmo circadiano

Il ritmo circadiano, ovvero una sorta di orologio biologico interno che, basandosi anche sul sistema luci – ombre, “orienta” il nostro corpo nel corretto svolgimento delle proprie funzioni, è indispensabile da conoscere per arrivare a capire come funziona il nostro organismo.
Se siamo persone che prediligono gli orari mattutini, arrivando a dare il meglio di sé nelle prime ore della giornata, o se invece siamo più produttivi nelle ore serali.
Il ritmo circadiano non è però solo una questione di gusti, quanto un vero e proprio tempo interno che scandisce alcune reazioni, ed ecco che per stare meglio – e dormire bene – è necessario rispettarlo e assecondarlo.

Lo sport, con la necessaria scorta di energia che dà ma anche che toglie a chi lo pratica, specialmente a livello agonistico o professionale, è un’attività che richiede molta concentrazione e grandi energie.

Fa bene praticarlo sempre? Assolutamente si. E per tutti, anche per le persone più attempate che desiderano solo allungare i muscoli quotidianamente o esercitarsi con lunghe pratiche di respirazione.

Fa bene praticarlo indistintamente dalle ore della giornata? Ecco, questo forse no. E nel prossimo paragrafo scopriremo perché.

Meglio allenarsi la mattina o la sera?

Non esiste una formula matematica esatta per rispondere a questa domanda, molto dipende ovviamente dalle inclinazioni e dalle abitudini personali.

In linea di massima, tuttavia, sappiamo che le ore pomeridiane sono quelle in cui il corpo è al “massimo” della sua forma fisica e delle capacità di reazione: la temperatura corporea è nella fase ottimale, i muscoli sono svegli e attivi, la ricettività al dolore è inferiore. Insomma, il corpo sta che è una meraviglia.

La sera, invece, non è raccomandabile allenarsi troppo visto che l’esercizio fisico tende a far aumentare la temperatura corporea e a diminuire la produzione dell’ormone legato al sonno.

Tutte le persone che soffrono di disturbi correlati al riposo, insomma, dovrebbero tenersi lontane dalla palestra o dal campo di tennis, soprattutto nelle 2/3 ore precedenti all’addormentamento.

Anche se una comune tradizione vuole che allenarsi la sera aiuti gli sportivi ad andare a letto stanchi e quindi a dormire meglio, questo è in realtà un controsenso giacché anche un corpo, dei muscoli e una mente troppo sfibrati, non conducono necessariamente ad un sonno lungo e ristoratore, ma anzi.

Allenarsi la mattina, o il pomeriggio, è preferibile per lasciare ai muscoli il tempo di recuperare così che durante la notte il corpo consoliderà il lavoro di recupero.

Quello che potete fare per rendere più mite e dolce il momento dell’addormentamento, tuttavia, è farlo precedere da una breve sessione di esercizi di stretching o di meditazione e/o esercizi di respirazione.

Questo sì che vi permetterà di riposare meglio e più a lungo.

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Progettato per facilitare il sonno di uno sportivo, grazie al suo tessuto in cotone e grafene riesce a regolare la temperatura in eccesso, ideale per chi fa intensi esercizi serali.

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